Stelle in un barattolo

Spesso ci si allontana, uno di qua e l’altro chissà dove, senza essere mai stati distanti veramente, perché il pensiero è più coriaceo dell’orgoglio. Ostico a lasciare la presa, non si arrende, lui… Lui vive nell’atmosfera, nella sua aria e nel suo pulviscolo ed in tutti i moti che gli appartengono, assistendo quindi ad ogni ricambio di ossigeno. Lui, il pensiero, sa distinguere una pioggerellina da una bomba d’acqua e vi ci gioca dentro e attorno. Noi, invece, credendo basti avere sempre i piedi per terra, supponiamo di essere padroni di tutto… Capaci di gestire la nostra anima così come si governa una nave, ignari delle novità che potrebbero fare capolino dal nostro io, non in grado di saperle accudire come meriterebbero. Ed infatti serbiamo un incapace marinaio, nel profondo nostro, in grado di farci affondare per stupida saccenza in qualsiasi momento. Così, ci facciamo isola di sola acqua attorno, senza pesci dentro e senza terra sopra, incapaci di cibarci d’aria e di emozioni. Incapaci di dirigere a dritta la barra del nostro vivere disconoscendo il viaggio della destra da quello della nostra sinistra! Affoghiamo nei dolori vaghi ed in quelli indotti per aiutarci a ritrovare il centro di un esistere oramai senza più remi! Tra questi è proprio il pensiero a sguazzarvi dentro. Ed a distanza di sicurezza dagli strali di una insicura certezza, vorrei provare a scriverti una lettera con le mie labbra, una canzone con gli occhi, disegnarti la vita con un gesto solamente, affinché le tue mani possano scoprire l’amore che è nascosto dietro ciascuna lettera; dietro il sali e scendi di una punteggiatura nomade in cerca del proprio spazio, che continui a scaldarti di vibrazioni negli inverni in cui non ci sarò!

Ma è già stato tutto detto, senza bisogno delle parole, saltate nella notte come birilli su cui si è schiantata una boccia enorme di cristallo… sport raffinato per capricci in pista. Le parole sono nell’aria… piccoli viaggi ad occhi chiusi, brividi nel maremoto. Sta alla nostra sensibilità raccoglierne quante più possibile per comporre la propria, personalissima, opera d’arte! Lampi in un temporale a cielo spento, stelle in un barattolo. Vuoti d’arcobaleno che viaggiano col pensiero e poi ci escono dalle mani come adrenalina o lacrime in un campo disatteso di pelle d’oca. Le parole sono l’acqua che ci irrora, cavalli a dondolo che ci frullano il ricordo. Solo il silenzio può spaventarle o tramutarle in ciò che leggi a cuore aperto! E chissà poi se i silenzi dicon tutti le stesse cose, se parlano tutti la stessa lingua tanto da non capirsi allo stesso modo, oppure usano altro organo del corpo per comunicare in modo più convincente, vuoto per pieno, ma forse è proprio il vuoto a donare loro la facoltà di sapersi interpretare interagendo sulla mancanza di foname a favore degli ipotetici organi ricettori alternativi. Quindi cosa può fare e dire oltre, un semplice pensiero già pensato in cerca della propria isola disattesa? Spesso, solo quando si percepisce l’arrivo imminente della “sindrome del lontano”, ci si ferma a riconsiderare la direzione quasi fosse  una folata strana che ci fa entrare negli occhi un fastidioso moscerino che ti ronza dentro come un concerto d’archi! Si consultano le stelle, mentre basterebbe un dito insalivato a rilevare la direzione del nostro nord magnetico, e si va oltre quella meta unica che ci attrae e ci chiama con un qualsiasi giro d’aria o di fortunale. Altre volte invece si girano le spalle e non si torna più indietro!

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Compositore: Alfio Samà  –  Immagine: blu@rt

Una lampadina fioca

Ci sarà un diverso sole ma non sarà più luce. Il calore svuoterà la terra ed il caliginoso si appiatterà per svuotare le ascese dei vulcani. Acqua e freddo saranno padroni dell’orizzonte, limite sensibile per i chilometri domestici di ciascuno. Ci sarà un cielo in mutevole rimpasto d’aria e correnti provenienti d’ogni parte di quella che una volta chiamammo terra. Oggi, abbastanza evoluti e formati per saturare e distruggere altri pianeti, il governo, senza porre la fiducia, ha votato una nuova Costituzione. Questa prevede, anche il cambio di posizione dell’asse terrestre senza ricorso alla fiducia, con il graduale abbandono di noi stessi al nulla cosmico senza più un equilibrio! Largo all’artificiale quindi, di cui è composto l’inorganico dei governanti non solo nostri. Ma non è stato sempre è così… e continuerà in barba alle stagioni, alle opinioni ed ai sentimenti che sono come maree. Ti assalgono e ti svuotano per andare a portar conchiglie in altre spiagge.

A volte la realtà non è altro che il riflesso antico dei ricordi che san fare male a tradimento. Altre, solamente una pozza visionaria del futuro. Crediamo di avere già vissuto un momento, un incontro, una sorpresa od una vicenda. Invero é solo l’immagine che abbiamo creato a dare vita al sogno stesso. Volti già visti, storie già accadute, situazioni da affrontare cui abbiamo inconsapevolmente dato vita, oppure che abbiamo condannato alla dimenticanza per non essere stati puntuali, come desiderio anelava. Non sempre la realtà ci spiana la strada… é più facile la renda sdrucciola o piena di curve, e per noi diventa molto più facile contestarla che affrontarla, nasconderla dietro la tendina delle esigenze. Succede quindi anche per il riflesso della mia persona, seppure a minima distanza, risulti non essere più io. La distanza mia da me, infatti, sei sempre stata tu e lo rimarrai anche tra i mille gorghi del rimorso, che mi aiuterà a cancellare quell’incauta pretesa d’essere felice solo sulla base di una iconica fiducia!

Ci sarà diversa luce ma non sarà più sole, solo una lampadina fioca. Nessun tipo di calore più potrà riempire la pellaccia rappresa che mi sono creato a suon di brividi, di paure, di passione, di complice scoperta, di amore arrampicato sui destini… pur sempre meraviglioso vero amore. Tutto sommato sbagliando, semmai sbagliando, facendo sempre finta di sbagliare e, non so se mi sono capito, in questa fulgida bugia che è la vita mia!

©blu

Fotografia: Tithe 

 

Nubìvago

Mi ritrovo spesso a dorso di questo termine desueto, con il quale identifico comportamenti e stati d’animo risalenti forse allo stadio di verginità mentale in cui versavo più di quarant’anni “fa” (o cinquanta “sol”… non ricordo) quando ancora mi dilettavo a “fare musica” suonando dello strippatissimo blues con qualche caro amico. E’ noto che quando suoni il blues, sei dappertutto tranne che sulla terra… il “mood” sale alle stelle mentre le dita ti si intrecciano di tasti, fiati, corde e brividi. Una vera e propria caccia al tesoro con se stessi, lo status di nubìvago, dove io mi rigiro per contare all’infinito, e nel frattempo il mio alterego scappa a nascondersi dietro le spalle dell’uomo che alberga in me. Se non rischiassi di offendere la religione, mi definerei legittima reincarnazione nella Trinità degli Anacoreti. Letteralmente, e più seriamente, mi categorizzo in colui che vaga tra le nuvole, non solo con la testa ma proprio con tutte le scarpe, con l’intenzione verosimile di sbattere il grugno al primo palo della ragione, in modo da fare accendere la luce dei sogni in terra. Cavalcare le onde modaiole apporta gran clamore ma la realtà vuole che, mai come in questo periodo storico, mi sia trovato a fare i conti con il tempo. La sua lunghezza quotidiana, la sua condizionante essenza sulla persona, la sua costante alternanza di ore e di stagioni, il suo carattere vistosamente transitorio legato proprio al fondamentale essere qualcosa di passeggero. Le nubi, è noto, sono come degli eleganti destrieri pronti sempre a catapultarsi nell’occhio del ciclone pur di non farsi acchiappare, pur di cercare un ricordo con il mimetismo delle proprie forme. A cavallo di alcune ho fatto viaggi pazzeschi (…non era fumo!!!) che mi han permesso di visitare migliaia di occhi sparsi per il nostro cielo. In ciascuno di essi ho provato a calarmi per rubarne il calore o solamente un abbraccio, così caldo, da far piovere gocce e gocce sulle mie scricchiolanti pagine. Alcune di loro son diventate musica, altre han narrato versi fuori dal coro… da lì, altri occhi vi han visto ciò che nascondevo dentro. Queste sono le nuvole che hanno il pregio di viaggiare a tempo di blues su arcobaleni a forma di pentagramma. Con il cuore disegnato tra i brividi di una bellezza che scivola inosservata per non dare fastidio, in quelle semplici dodici battute meglio conosciute come “worried note”, intervallate da lunghe pause sonorizzate con preziosismi strumentali di tutte le razze… perchè il blues non ha sesso. Si ascolta. Si vive. Si respira… magari volgendo lo sguardo alla nube che passa perchè è proprio quando piove che cadono giù i pensieri più audaci per fecondare pagine nuove da ascoltare, abbassate di un semitono, sempre al melanconico andare di quel ritmo che senti strapparti dentro!

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La terra degli inserti

Abbiamo così tanto da dire senza pensare che, troppo spesso, ci si sofferma solo per parlare e mai per ragionare sul cosa dire. Quindi, si dice a caso, tanto per fare. E per questo “fare” hanno inventato la “socializzeria” ovvero uno spaccio autorizzato, digitale, di tutti i cazzi del prossimo (inteso come somma di tutti i colui iscritti dadove chissà e dacome perchè) nel mare magnum terraereoglobacqueo del web. Cercate di immaginare il volume specifico di questo magma di  cose inutili. Un poco alla tana libera tutti! Ovvio che non sono un facinoroso bigotto che si immola sulla collina da cui scrutare la terra… solo che mi sto accorgendo, per mero esercizio personale,di quanto nel nostro paese stia mandando alla deriva i propri principi fondanti, le radici che ci hanno permesso di erigere idee, storia, valori, cultura, tradizioni, religione, arte, bellezza, grazie proprio a quanti si sono adoperati per formarlo più con i fatti che con le parole. E se le radici dovessero mai cedere del tutto non basterà riempirsi la bocca con termini del tipo “global warming”… riprendiamoci il nostro “Fà caldo”. Ed insieme all’italianità, recuperiamo la china del comando che oggi pesta i piedi alla “Memoria”, grazie anche a rappresentanti che io ritengo essere dei “Rappresenpochi”… cioè prodotto tipico del popolo dei non votanti, degli estremisti ambidestri e dei fancazzisti che da sempre ciurlano nel manico (con un misero 20% di urne), pronti a vendersi all’offerente migliore. Nel circo mediatico dell’alternanza si alternano facce, non politici… facinorosi sottodimensionati ma tenutari oggi delle redini del disfatto paese Italia. Il loro impegno pare sia più importanza ai due Ladroni che al povero Cristo, ma la politica non è il mio mestiere… sono un umile parolaio.

Fa comunque caldo, anche nel mese freddo, o freddo solo per me che sono divenuto apartitico, apolide, “apoco” di tutto. Non sapendo però come combatterlo, mi alzo dal letto ed esco sul terrazzo con la speranza di un piccolo freddo antico. La posizione concedeva una sensazione minima di benessere ma oramai un disturbo latente alla cervicale aveva preso il posto del sonno. Rientrato in sala, presi un libro dallo scrittoio nella pila “Ancora da leggere” e, subito dopo aver sbirciato una noiosa prefazione, svoltai pagina a sinistra. Ed é proprio lí che sono inciampato dentro la trama, astutamente agguattata dietro un subdolo titolo di non definito carattere, a prima occhiata un gran brutto caratteraccio. Sbucciandomi i gomiti sui puntini di sospensione, dopo aver strisciato di pancia sugli intercalari, ho trovato un avvincente emporio di lettere usate… di tutti i tipi, di tutti gli alfabeti… delle più svariate religioni ed ideologie. Lettere taglienti con precedenti, lettere senza ricevuta di ritorno… lettere mai spedite mischiate assieme a quelle mai arrivate… persino lettere dotate di una fedina penale lunga quanto lo scontrino del supermercato dopo una settimana di astinenza mentale. Mi hanno poi meravigliato alcune di loro e quello che vi ho scoperto… cioè che, alla fine di ogni ragionamento così come alla fine dei conti, su tali lettere non ci puoi proprio contare anzi, non ci si deve contare. Sui numeri si conta, sulle lettere si legge! Perché diversamente cadono in depressione e poi non le ritrovi. Fanno solo scena… Tutte “olive ed ombrellino”. D’altro canto la cultura é decaduta dopo la crisi della carta stampata, l’abolizione dell’Edicola come rivendita di notizie e non più di preghiere, come opzione alternativa al “non é mai troppo tardi “. Dopo Alberto Manzi (buonanima) la cultura italiana é stata affidata agli inserti prima dei mensili, poi dei settimanali ed infine anche dei quotidiani, via via fino a scendere negli inferi degli inserti giubilari! Poi, con l’avvento della “carta vista” si è passati al monitor del computer e, te saluto cucca… sparita tutta la carta stampata del globo terracqueo di cui sopra… si bagnava troppo. Ma proprio tutta, compresa anche quella per falsificare la carta moneta. L’euro non é piú moneta comune ma una qualsiasi opinione comune in materia di carta non moneta! La cosiddetta teoria di C. Lagarde… meglio conosciuta come “La garde e non favel “… ovvero l’euro é come l’assioma dei funghi:”se ci sono li vedi, se non ci sono non li vedi”. Resiste ancora qualche pubblicazione di pura hobbistica tipo fotografia, maglia e cucito, chef da schianto, soldatini di piombo, album dei calciatori, pugnette e francobolli, fischibotti e rapine ma poi… tante “Manga-nellate” sulle gengive per cartoon poco probabili d’altre terre o spazii, che aiutano a farci piangere ancora sulle orme neurali di qualche cammeo di cartoon intergalattici tipo “Libro della Giungla”, “La spada nella roccia”, “Bambi”, “Dumbo”, e chi più ne ha più ne metta ma più che altro se li “Tenga-stretti“! Anche questa censura sulla storia mondiale (perché non è che si tratti di una esclusiva italiana). Si narra che gli antichi onde incrementare le vendite al dettaglio della carta stampata, usassero settimanalmente fare omaggio al lettore di pagine di approfondimento culturale, anche a carattere regionale per pubblicizzare, ad esempio, il pedalino di filo di capra nera di Mamoiada filato a mano dai mamuthones oppure alla patata annurca senza semi che si mangiavano i Cervi campani nella tenuta di Ercolano, tizio molto dotato di culo!  

Ecco, quanto fatto fin qui… ho parlato a caso di cose e di minchiate che non hanno presa nella testa e dentro l’anima della gente perchè non le riconosce più come un proprio dna. Non conosce fatti, riferimenti, idiomi, della nostra civiltà… perché quasi come nel nuragico la tradizione si è persa perché non sapevano scrivere e tutto era affidato all’uso orale della trasmissione di usi e costumi. Allora ritengo importante valutare quanto peso, “apparenza” o, per farvi capire, quanti “Like 👍🏻” abbia il nostro non esser capaci a fare nulla per cercare di aiutare le persone in qualcosa, magari solo a ritrovarsi. Per questo ci sono qua io, il vostro “Tossicoignoranter” che vi aiuterà a ritrovare il cervello defenitivamente eliminato con il pacco n.3. Ora tutti quelli che si trovino sotto la propria abitazione, nei pressi della postazione citofonica con parlascolta videoattivato, potranno avvicinare il proprio dito indice sulla casella in rilievo, spesso contenente un cognome tale e quale al vostro. Caso fortuito di “omonimia buciosa”. Togliete il sigillo ed al mio via, il vostro dito dovrà spostarsi con decisione verso tale casella sino ad illuminarla, con o senza presenza di suono. Se dalla scatola traforata una voce di “fuoco amico” (imitando qualcuno da voi conosciuto) emetterà un prezioso “Khiè??”… con l’ausilio del vostro apparato fono respiratorio dovrete emettere il codice alfanumerico di due lettere (noto come “parola d’ordine”) “IO” e, se avrete eseguito tutto alla lettera il “clack” del cancello sarà la vera “controparola d’ordine” a significare che il sistema, da me architettato per farvi rientrare in possesso delle vostre capacità, avrà sortito effetto… quindi mi aspetto una valanga di “Like” in modo da poter studiare nuove strategie a portata di neurone per donare un panettone stampato in 3D a soli trenta danari dalla Fabbrica artigianale di “Proietti er cravattaro“!

Qualcuno rumoreggiando (già) sull’inutilità di questo post, che io ho creato “a-ppost”, vorrebbe insinuare un mio certo disincantato distacco dalla base sulla cui piattaforma brulicano e brucano i coacervi estratti dalle mele annurche filtrate al pedalino di cui all’inserto di prima. Pertanto se “alpost” di quest post me ne stavo in poltrona a sentirmi la messa darequiem K626, composta da W.A.Mozart, diretta da Amadeus e Ciuri dall’obitorio in vetro davanti al monolito di tale BenMuss…era molto, mamolto, più meglissimo! A “monitor” delle generazioni già generate, ricordo inoltre che la stele invita chiaramente alla PAX Deorum… No? Era solo Dux? Senza pax? Guarda guarda… nell’inserto non era scritto. Chiedo perdonanza, questa infima kermesse era solo un mio personale “Atreju” per cercare di richiamare i miei lettori d’avamposto, circa la reale ed impellente necessità di lottare “contro tutto il “Grande Nulla” che avanza e che riempie pagine, schermi e cervelli delle persone dal punto di vista morale, storico, culturale e filosofico” di questo paese malmesso (di chiara stirpe malmassonica)… ma tu non lo dì a nessuno, tiettelo pe’ te!

Hoffi nito (inita liese)👍🏻

The End (inin glese)🤙🏻

M.A.H. Ende (inte desco)👎🏻

(…perdonatemi, è il mondo che mi costringe alla fantasia!)

©blu

La bua

Ti ho scoperta con il sesso in mano, mentre giocavi dolcemente a mamma e figlia con il clito eccitato e turgido. Ti prendevi cura di lui (o lei) con la tenerezza che solo una donna può conoscere… che sa parlarle con le paroline giuste, che sa dove esige quelle mani, dove servono le coccole ed il ritmo cadenzato di un dito garbato e carezzevole. Nella penombra dello studio, sulla poltroncina in pelle, eri così bella con i vestiti dell’ufficio ancora indosso. Scostati quel che serve, per una impellente urgenza nella culla delle tue mura, stavi cercando di dare adeguata sistemazione alle tue gioie. Tanto l’impellenza di soddisfarti che non badasti se fossi stato in casa o meno. Così anche tu, a debita ragione, non avresti mai pensato che una febbre improvvisa e mattutina avrebbe potuto trattenermi a letto… cosa davvero impensabile per il mio essere. Sono così venute a collisione due realtà improvvise, separate, che hanno però fatto salire la temperatura di tutta casa alimentata, stante l’evidenza, con energia morbosa green, tutta  solamente naturale.

Sentiti i rumori provenienti dallo studio, mi sono alzato guardingo per capire cosa stesse succedendo quando, dallo spiraglio della porta, ti ho vista presa. Testa riversa allo schienale della poltroncina interlocutoria in pelle, gambe divaricate in aria, poi sui braccioli, la mano pervia a scandire il desiderio tuo sostenuto da versi inesprimibili, piacevolmente udibili, tra un rimestio di umori e carne, calze, reggicalze ed ogni magia pensabile scesa su di te in quell’attimo che strofinava micro emozioni per tutto il corpo. Scostando quindi un poco più la porta, uno stupido scricchiolio di troppo pose fine alla scena più bella dopo anni di convivenza. Non avevo mai pensato tu potessi essere insoddisfatta della nostra vita sentimentale. Con un sobbalzante quanto interrogativo “chi è?” seguito da un’aria spaventata prima, furiosa subito dopo, ti ricomponesti frettolosamente alla bene e meglio.

Ah, sei tu?“… cui seguì un altrettanto repentino incrociar di braccia e gambe seguito da un più triste “E cosa ci fai a casa a quest’ora, potevi avvisarmi?” “Assistevo allo spettacolo più bello della nostra vita… sono rimasto a casa per la febbre stamani ma ora mi è aumentata, a dismisura, fino al cervello Se ti avessi avvisato mi sarei perso tutta la lussuria della mia compagna…”; “Bene, allora vieni subito dalla mamma che ti fa passare quella tua bua troppo evidente, altrimenti mi sbatti ancora contro la porta!“… “Ti sbatto lo stesso… uhhhh se ti sbatto… anche contro la porta se lo desideri…” così pensavo ridacchiando dentro di me, felice di questa sana, inaspettata e quanto mai viziosa, botta di lussuria casalinga!

©bludinotte

Fantastico!

Mentre cammino tra i pensieri noto le case che mi scorrono accanto. Imposte chiuse. Coni gialli dei lampioni in strada e luci fredde dei led dentro le case. E poi lucine ad intermittenza dietro le tende bianche di organza. Quasi un saluto a questo diverso passare, riconoscenti forse del mio interesse verso loro, ove quel pizzico di sguardo gli lancio addosso senza distinzione di classe. Sono tutte case animate che affrontano una celebrazione con poca voglia di festa… anime non predisposte… ritmi e movenze antiche, ma spenti. Magica pulsione, iconica riproposizione. Mentre cammino, é finalmente inverno. Il calore dei pochi cuori dentro la festa riesce a darmi pace, la fioca fiamma delle luci a farmi strada… mentre passo oltre per raggiungere altro, specie con i pensieri che non so dove vogliano andare. Tra pochi giorni tutto sarà di nuovo spento, assorbito dal nero anonimo dei nuclei urbani che a chiamarli città si fa pecccato. Stesso buio per ogni quartiere, stesso risparmio di vista sulla città che se ne fotte delle vostre/nostre feste. Dei vostri/nostri fuochi d’artificio e delle stelle filanti che fagocitano una piccola stella cometa senza più meta, anch’essa. Mentre cammino divento sempre piú vecchio, mi faccio domande cui non so rispondere sulla vita di oggi, ed é in quel preciso momento che capisco di non avere ritorno… che ho perso la mia strada,  forse anziché i vetri per aria avrei dovuto guardare per terra. Capire dove stavo andando, evitare la merda dei nostri viali disordinati, pervasi di voraci mangifici gomito a gomito. Spaventoso come siano tutti allo stesso modo ostantemente ripieni di fauci che inghiottono e odorano di “non mi frega nulla tanto non vado più a votare“… Formidable!

No, non sono nato anziano. Lo sono diventato poco alla volta, sorriso dopo sorriso, pianto dopo pianto, poco ciuccio e tanta curiosità per tutto. Ho avuto amore, dolcezza ed anche rimproveri. Piú tardi qualche ceffone se non le sculacciate… sono cresciuto come tanti, senza drammi addosso, senza troppi “vorrei…” e con molti “…ma non posso“. Erano non tempi, altri tempi, anni meravigliosi, tempi non sospetti anche sopra i banchi dove non ho mai brillato molto, dove ho lucidato panche, sedie, lavagne e pagine di lettere, di bastoncini, di virgole e cerchietti… numeri goffi ed un po’ sballati che non mi han mai fatto vincere nulla, Meglio! Avevo però la vera scuola accanto, come molti borghesi di una volta… una tata di cui purtroppo rammento solo il nome, Ada… Non più il volto. Era anziana e dolce come una zia. Nel DNA la sua pazienza, la sua cura, e quell’odore di fatto in casa solo per me. Quelle gambe un poco curve la facevano zoppicare, ma sentivo la sua mano stringersi alla mia in mnemonica ansimante altalena sulla strada della vita. Sono nato per crescere e non dimenticare amore, specie questo… primo amore a cottimo, compagno indispensabile per diventare adulti senza conoscere le asperità piú insidiose che una società riserva a tutti i suoi adepti. E questua il loro sangue! Un pensiero, una coccola a chi mi ha dato amore! Per questro di fronte a tanto scempio spalmato su gambe che s’affannano mi si affacciano i ricordi nei periodi più tristi delle feste. Cosa festeggiamo oggi? Violenza o guerre? Cosa?… Formidable!società logora di consumismo, di personalismi e di poco amore.

Provate ora a soffermarvi anche voi davanti ad una di quelle meravigliose tende mute. Una qualsiasi, la prima che scorgete sulla strada verso casa. Saprestre riconoscere l’ombra di una pallida felicità? No, solo gioia scongelata per tutte le occasioni e neanche il naso umido di un amico a quattro gambe! Si, le zampe le ha chi siede in quel singolare circolo sul monte che non ci appartiene perchè non più figlio di un nostro pensiero o di una volontà ma algoritmo dei pochi che ciurlano nelle menti assenteiste dei “social” per creare ponti verso il nulla. A me non rimane altro che appendere lingua, neurone e ricordi all’ingresso del cuore!

Buone feste e tanta serenità a quanti… (?)

©blu

Fotografia di Toni Frissel

Credimi sempre

Quando non ci sei lo spazio si fa cornice, i dettagli vagano a disagio privi di riferimento. I colori, man mano, cadono in terra e si spengono. Quando non ci sei, l’aria è un’asfissia, l’odore intimo ti separa dai mille brividi rimandando solo piccoli vaghi sentori di un passato trascorso appena. Perde l’orientamento. Spariscono le impronte ed i pori scendono dai brividi ancora un poco rubicondi. Quando non ci sei la luce è un’ombra offuscata, un significato incompiuto, un chiodo appeso senza il proprio muro che separa i dubbi dalle certezze rendendo cura ogni tuo gesto, coccola ogni tuo sguardo. Ma quando non ci sei, cosa sono io? Di cosa posso vivere? Mi corteggia afasia spegnendo la luce all’unica parola che riconosco mia, prima ancora d’essere.

C’è un destino scritto ovunque sul derma antico del monte Cinto, ed a me basta unire le sconfinate stelle che ti appartengono per dote, disseminate in ogni angolo di pelle, per dare modo al tuo racconto di fiorire dal profondo dei pensieri di bambina e farsi canto… dalle tue carni palpitanti di donna… dal marginale vuoto delle tue labbra in astinenza di quell’atavica pioggia di femmina. Zampilli che sono un dono e che regali solo alla tua pelle bianca di luna, riflesso di carcerate notti trascorse a scavare il verso a piccole lucciole che si faan domande per volare a notte. Ed ho poche ore prima di spegnere gli occhi nel riflesso carminio del crimine cieco e bieco, insolente, indifferente agli indifesi, noncuranete degli innocenti. E tu vita, qui, non ci sei più… hai perso la via della ragione colorando di dolore la pancia del mondo!

Quando non ci sarai, cosa sarò ancora? Forse nulla e nulla importa, ma tu non smettere di fiorire amore, credimi sempre!

©blu

Presto che non resisto

Inizio subito con la cosa che più mi fa incazzare… “Quando non mi parli più“. Ed intendo quando non parli al mio cervello che suona a vuoto, ai pensieri che mi tornano indietro, alle nuvole dissolte all’aria, alle invettive restituite al mittente. Niente, anzi gnente! Ma è una vita che non “mitto” gnente… bisogna avere quindi comprensione per le specie in estinzione maggiormente se si estinguono a gas e non a polvere. Come fate ad essere così soggettivamente banali e permalose? Con quale coscienza scendete dal letto la mattina? E le pantofole?… hanno effetto memory o sono la messa a terra del giorno prima? Vai a capire queste persone. Valle a capire queste donne. Valle a coccolare, giustificare, comprendere, queste bipedi social-asociali. Dopo l’emergenza climatica mondiale, capisco che le stagioni peggiori sono ormai le vostre… quella secca e quella umida. Senza alternative. Un clima apparentemente vaginale ma tendente in ogni caso al torrido. “Scusa se insisto“, ma ciò che preferivo di te era il silenzio dopo il temporale… tutto quel “nulla” che ci dicevamo nell’orecchio per non riuscire a dirselo in faccia, un imprevisto per non fare l’amore. Un peccato di complicità!  

Ed allora ecco l’ansia che mi sale, perché ho scoperto sulla mia pelle che ci sono persone che non troveranno mai la via di fuga da se stesse. Persone destinate a perdersi tra il primo ed il terzo gradino di una scala di emergenza. Asettico immobilismo di comodo… la strada più semplice per non uscire dalle ombre che coltivano in assenza della vera voglia di veder sbocciare se stesse ad un nuovo giorno. Sia esso un corridoio disseminato di camerini ove sostare e cambiar fiato prima di usare l’aria che pulsa alla fine del pianerottolo, proprio fuori la porta della loro confortante cecità! Il non poterci fare nulla… tutto inutile, come chiudere a chiave le ante di una cabina armadio in camera da letto! “Presto che non resisto“, quindi, con questo bigottismo da falsi dignitari e custodi di altisonante verbo da far risuonare nugoli di proseliti da ogni angolo del loro pianeta effimero sito indifferibilmente dentro un monitor. Possiate abitare solamente lì… donne o uomini non v’è differenza, coacervi in assenza di gravità o peso specifico. Ma con preconcetti assai generici e mi riferisco ad identità specifiche, dotate solo di codice a barre perchè quello fiscale glielo hanno ritirato! “Ti sto cercando ma è nebbia fitta“… forse troppi arrosticini di capra, debbo provvedere prima che la fitta diventi colica, e la colica si faccia accolita, oramai proprio compagna di un viaggio in solitaria. Il mio intento era solo di proporre un fatto. Ecco fatto. Si è poi trasformato durante il percorso in Libagione, sono però troppo amante del vino per spargerlo in giro senza senso, preferisco quindi gettare aria fresca sui bollori di alcune figure retoriche che pennellano di significato, parole ed opere senza alcun senzo compiuto, che di poi è lo stesso “Senzo”! Ma “Con” è eguale… “Forse si o forse no“… ma “se ti penso la mia testa suona“! Ed è più meglio assaissimo risulti io il “suonato” che altri, troppo presi in balli di gruppo come balene da balera ammaestrate, oddio… il cervello insiste, fate presto… che non esisto!

©blu